La nostra Storia

INDIETRO NEL TEMPO A CERCARE COM’È CRESCIUTA LA COMUNITÀ

Ad oggi sono trascorsi:

  • 118 anni dall’erezione del capitello da cui parte la storia religiosa di Caselle
  • 99 anni dall’apertura e benedizione della Chiesa
  • 89 anni dall’inaugurazione del campanile e la benedizione delle 3 campane
  • 84 anni dall’erezione della parrocchia

Cinque comuni

Fino al 1931, quando Caselle diventò Curazia autonoma da Selvazzano, la sua storia religiosa è la stessa della Parrocchia di S. Michele Arcangelo di Selvazzano Dentro. Ben diversa, invece, è stata per secoli, la circoscrizione territoriale del Comune di Selvazzano: solo da più di un secolo e mezzo esso è un unico Comune e precisamente dall’epoca napoleonica (1810). Lo storico padovano del Seicento Sertorio Orsato cosi presenta la struttura civile dei vari Comuni attorno a Padova, nella sua “Historia di Padova”. “Tanto dentro de’ Termini [di Padova] quanto nel Territorio molti luoghi vi sono, che noi diciamo COMUNI, questi se ben hanno per loro matrice una sola Chiesa a cui nello spirituale soggiacciono, che a distinzione Villaggio o Terra viene chiamata, ad ogni modo nel temporale [potere] vivono disgiunti, perché ognuno de’ Communi (sic) fa la sua ridduzione (= assemblea) che VICINIA la nominano e ha il suo capo, che Degano [ = decano] o Meriga, lo dicono, a cui, per il tempo usitato nella sua Comunanza, incombe non solo assistere a tutte le cose alla giornata in essa occorrenti, ma è tenuto a rapresentarla (sic) e rispondere per essa ovunque fa di mestier”. Anche nell’ambito territoriale della Parrocchia di S. Michele di Selvazzano v’era più di un “Comune”, anzi se ne contavano cinque: Selvazzano, S. Maria in Quarta, Canton, Caselle e Vegri di Barca. Sulla vita amministrativa di tutti questi Comuni, appartenenti alla Vicaria di Teolo scarsissime sono le informazioni attualmente disponibili. Dalle Polizze degli Estimi presso l’Archivio di Stato di Padova si possono ricavare le situazioni socio-economiche di questi Comuni e da altri documenti si sa di due riunioni [= vicinie] dei Comuni sopradetti, i cui rappresentanti “ascendevano al numero di 300 persone in circa”. In forza del decreto di Eugenio Napoleone, viceré d’Italia, datato 28 settembre 1810, i Comuni di Selvazzano, S. Maria di Quarta, Canton, Vegri di Barca, Caselle, a cui furono uniti i Comuni di Tencarola e Montecchia, vennero concentrati in un’unico Comune che assunse il nome di Selvazzano Dentro [= il fiume Bacchiglione] raggiungendo una popolazione di 1689 abitanti.


Via Pelosa

Il territorio di Selvazzano risulta delimitato a nord e a sud da due antichissime strade, a cui molti autorevoli autori attribuiscono una origine romana: quella meridionale è la strada Padova-Teolo detta anche Montanara, che correva pressapoco sul percorso dell’attuale, raggiungendo il centro romano che stava nei pressi di Praglia (iscrizione di Lucio Cartorio) con quelli di Teolo, Monte Pendice e Luvigliano . Quella settentrionale è la strada Pelosa, che partendo da Ponte Tadi (Pons Vicentinus), per le attuali Via San Prosdocimo e via Palestro, attraversando in direzione est-ovest i Comuni di Padova, Selvazzano, Rubano, Saccolongo, Veggiano ha termine [statio ad fines] nelle vicinanze di Montegalda. Ancor oggi la via Pelosa sarebbe un perfetto rettilineo se non fosse strozzata prima dallo scalo ferroviario di Campo di Marte, poi dalla Brentella e poi in territorio di Veggiano dal Tesina, affluente di sinistra del Bacchiglione. Da Padova a Montegalda la determinazione del tracciato di questa strada non presenta problemi, essendo quasi interamente conservato. Più difficile è determinare il tracciato della stessa via da Montegalda: certo doveva arrivare a Vicenza. Da Padova a Montegalda lungo la via Pelosa non si trovano paesi (vici) né pievi (= plebs = popolo = ossia comunità cristiane = parrocchie) all’infuori di Montegalda, la cui Pieve è dedicata alla prima martire cristiana S.Giustina. Questa Chiesa arcipretale segnava certamente il confine tra l’agro padovano e vicentino. Lungo il tracciato restano dei nomi ad indicare le grandi pietre miliari nere o di basalto (alcune furono trovate a Vicenza): a quattro miglia da Padova, in territorio di Selvazzano, abbiamo S.Maria in Quarta (ad quartum milium) invece dalla parte vicentina abbiamo Torri di Quartesolo (ad quartum milium). Tra Vancimuglio e Secula abbiamo invece Settimo (ad septimum milium). Da dopo Montegalda “non si ritrovano tracce della via Pelosa, ma le ragioni che indussero i Padovani nel 1265 ad ordinare il ripristino di questa “strata vetus” fino al confine del loro territorio (Montegalda), portarono al contrario i Vicentini, dopo il 1311, a rovinarne il tracciato stradale, onde rendere difficile la marcia dei nemici padovani verso Vicenza, passando per Longare”. Da allora la via fu quasi abbandonata per cui diventò “erbosa” (pelosa) e assunse maggiore importanza, allora come adesso, quell’altra via pure romana che univa e unisce Padova e Vicenza passando per Rubano, Mestrino, Arlesega, Grisignano, Barbano…


Signoria feudale del Vescovo di Vicenza su Selvazzano

Selvazzano fino alla fine del VI secolo d.C. deve essere stato “vicus” (Villaggio-Villa) dell’agro patavino e quindi sotto la giurisdizione ecclesiastica del Vescovo di Padova. L’invasione del suolo italiano da parte dei Longobardi (568-569) segnò la fine dell’antico “municipium”, della “opulentissima urbs” di “Patavium”. Piegata la resistenza dei Bizantini, che presidiavano la città, Padova venne distrutta nel 602 dal re longobardo Agilulfo. Lo storico aquileiese Paolo Diacono ne fa un’ampia descrizione nella sua “Historia Longobardorum” e le “Cronache” del tempo riferiscono “che tutto il popolo uscì dalla città sotto la guida del Vescovo” dirigendosi verso est, cioè verso la laguna. Due possibilità si presentavano al Vescovo o disperdersi per il territorio circostante la città e adattarsi in mezzo ai nemici senza una sede fissa, o ritirarsi nelle isole della laguna, in territorio ancora sotto la Diocesi di Padova (che a quel tempo arrivava sino al mare: ancora non esistevano Venezia e Chioggia). Fu scelta questa soluzione e Vescovo e popolo si ritirarono nella zona lagunare e precisamente a Malamocco. Una iscrizione suona così: “Metamaucentium episcopatus ex Patavina Civitate extitit oriundus et in eadem insula habitare (episcopus) disposuit” che tradotto vuol dire: la sede vescovile di Malornocco ebbe origine dalla città di Padova (cioè vescovo e popolo fuggiti) e il vescovo decise di porre là la propria sede episcopale. Mentre il Vescovo di Padova col suo popolo era riparato a Malamocco, i Duchi di Treviso, Vicenza e Verona per la parte civile e i Vescovi delle rispettive Diocesi per la parte religiosa, allargarono la loro giurisdizione in territorio padovano, arrivando alle porte della città, ormai devastata e vuota. Nel territorio di Treviso furono incluse tutte le parrocchie fino a Vigodarzere, Perarolo, Pianiga, Meianiga; nel territorio di Vicenza tutte le Parrocchie fino a Limena, Selvazzano, Cervarese, Teolo; nel territorio di Verona furono incluse tutte le Parrocchie di Montagnana, Casale di Scodosia, fino a Lozzo e Cinto Euganeo, nei colli. I Vescovi di Padova rimasero a Malamocco per circa due secoli (602-774). Il loro rientro col popolo a Padova fu determinato dalla vittoria dei Re carolingi sui Longobardi. Sembra certo che a riportare la sede vescovile a Padova sia stato il Vescovo Tricidío, la cui lapide tombale, posta nella antica cattedrale di Padova, da lui edificata al centro della nuova città, si conserva ora nell’attuale cattedrale, vicina all’altare di S.Gregorio Barbarigo. Il fatto di essere chiamato “castrum” va posto in relazione all’invasione degli Ungari, avvenuta nell’anno 899, che avrebbe fatto comprendere la necessità ai signori del contado di difendere le loro terre da eventuali irruzioni barbariche. Questo “castrum” sorgeva probabilmente sull’area oggi occupata dall’abitazione che sorge davanti alla canonica di Selvazzano e delimita la piazzetta antistante la vecchia Chiesa arcipretale. Accanto sorgeva la vecchia chiesa plebana di S. Michele che avrebbe preso a titolare proprio S.Michele, santo protettore dei Longobardi (arcangelo guerriero contro le milizie di Satana) e forse anche in memoria del tiranno Ezzelino da Romano (che distrusse il castrum), morto proprio nella festa di S. Michele il 29 settembre 1259. Infatti solo in occasione della decima papale del 1297 si parla di “dominus” (da cui l’abbreviativo “don”) Falco, archipresbiter. Entro i confini della pieve c’era il monastero di S.Maria in Quartam e il Vescovo di Vicenza Angelo Fasolo nel 1465 vi unì anche la Chiesa di Canton alla Pieve perché troppo vicine. Per cui non è temerario pensare che anche Caselle come Comune a sé stante potesse avere una sua Chiesa: non si hanno notizie certe. Il 1 maggio 1818 il Papa Pio VII (Barnaba Gregorio Chiaromonti 1740-1823) con la Bolla “De salute Dominici gregis” riportò assieme ad altre Parrocchie anche Selvazzano alla Diocesi di Padova. Prima preoccupazione del Vescovo fu rifare la Cattedrale e i confini della Diocesi, recuperando le terre e le parrocchie su cui avevano esteso per ben duecento anni il loro potere civile e religioso i Duchi e i Vescovi di Treviso, Vicenza e Verona. Questo fu reso più facile, grazie al Diploma del Re carolingio Berengario, subentrato al potere nell’888 a Carlo il Grosso. Questo Berengario aveva come suo Arcicancelliere il Vescovo di Padova Pietro. Nonostante fosse già passato un secolo dal ritorno a Padova del Vescovo Tricidio da Malomocco, la Diocesi era soffocata fra i vescovadi di Treviso, Vicenza e Verona. Con questo DIPLOMA consegnato al Vescovo a Pordenone (Portus Naonis) “in corte regia” il 5 maggio 897, veniva fatto espresso obbligo a tutti i Vescovi di riconsegnare le terre e le parrocchie “in comitatu Tarvisianense, Vicentino et Veronense”. Ma come rifare i confini, dopo tanto tempo? Seguendo l’itinerario delle Chiese dedicate alla martire S.Giustina: S.Giustina di Lova (verso la laguna); S.Giustina di Solagna, di Montegalda verso Vicenza; S.Giustina in Colle dalla parte di Treviso; S.Giustina di Baldaria, Pernumia Monselice, Teolo verso Verona. Esse erano di sicura origine padovana. Anche Selvazzano fu incluso nel ducato longobardo e nel relativo vescovado di Vicenza, che seguendo la linea Fontanafredda, Valnogaredo, Zovon, Rovolon e Selvazzano giungeva fino a Limena, arrivando alle porte di Padova. Alla fine del VI secolo, quindi, Selvazzano, che in età romana era stato un “vicus” dell’agro patavino, venne a far parte del ducato longobardo vicentino, il quale due secoli dopo con l’ordinamento carolingio avrebbe assunto il nome di “comitatus”, conservando intatta sostanzialmente la sua struttura. “Selvatiano o Selvazzano” compare per la prima volta come “castrum” del Vescovo di Vicenza nel diploma di Ottone Ill nell’anno 1000, che lo esentò dal pagare il “fodrum” la tassa, privilegio confermato poi dagli imperatori Enrico Il (1008) ed Enrico IV (1084) e da Federico I Barbarossa (1154).


Ai nostri giorni

Fino alla prima guerra mondiale la zona detta Caselle (= casette) era formata da poche case, povere e malsane, col tetto di paglia (= casoni) e muri di fango, in un’ampia distesa di campagne, lavorate da poveri fittavoli e braccianti. Pochi fortunati lavoravano in città come muratori, manovali, donne di servizio. Molti erano analfabeti e quelli che avevano la fortuna e la possibilità di frequentare la scuola, fino al 1906 dovevano recarsi a Tencarola per le tre prime classe elementari e a Selvazzano per la quarta. La popolazione si nutriva di polenta, a volte anche poco sana, raramente di carne, per cui molte famiglie erano colpite di pellagra. Nel 1906 fu costruita la scuola elementare per le tre prime classi. Nel 1910 dai F.lli De Zanche venne aperto il primo negozio di alimentari, nel 1914 un molino e nel 1929 un frantoio e nel 1947 una raffineria di olii di semi. Erano le uniche risorse del paese e venivano occupati una quindicina di operai, che con i contadini e i braccianti formavano la parte attiva della popolazione, che cominciò, sia pure lentamente, a migliorare le condizioni di vita di molte famiglie. Nel 1920 arrivò la corrente elettrica come forza motrice per le piccole attività artigianali e dopo la seconda guerra mondiale venne portata la luce in tutte le case. Il telefono arrivò nel 1947 presso il molino De Zanche e nel 1960 si incominciò a lottizzare i terreni.


Un capitello

Lontani dal centro di Selvazzano e con strade polverose d’estate e fangose d’inverno, per la catechesi e la vita sacramentale si doveva andare alla Parrocchiale di S.Michele di Selvazzano Dentro; per il resto della vita religiosa molti andavano anche a Sarmeola per campi o piccoli viottoli. Costruite le scuole elementari a Caselle, nel 1906 un gruppo di persone, capeggiate dal Sign. Pietro De Zanche, si unì per costruire un capitello alla Madonna Ausiliatrice, la cui devozione era stata tanto favorita dal Parroco di Sarmeola Don Pietro Pierobon non solo fra i suoi parrocchiani, ma anche fra coloro che da Caselle frequentavano la chiesa di Sarmeola per più comodità. Il 21 ottobre 1906 venne inaugurato il nuovo capitello e la statua della Madonna fu portata in processione dalla Chiesa Arcipretale di Selvazzano fino a Caselle, accompagnata dalla Banda locale. Il costo del manufatto fu di L. 526. Per pagare le spese si fece una lotteria: per il primo premio era in palio un vitello. I biglietti vennero venduti nello stesso giorno dell’ inaugurazione. Il possessore del biglietto vincente non si presentò né in quel giorno né mai. Con la vendita del vitello si pagarono tutte le spese dell’inaugurazione. Fu un primo segno di benevola risposta della Madonna alla devozione dei figli. Dal Diario del Sign. Pietro De Zanche – Memorie De Zanche: “Il capitello fu poi demolito per aprire via Manzoni. La statua invece fu collocata sotto una struttura moderna. Ma più la poca educazione delle persone che le intemperie, l’hanno ridotta ormai a ben poca cosa. Per cui in tale occasione anniversaria verrà tolta, riparata e riportata all’interno e sostituita con una copia conforme”


Una chiesa

Passata la prima guerra mondiale (1915-18) in cui morirono 21 persone in guerra, sotto le armi, si cominciò a ventilare l’idea di un “oratorio” per avere almeno la Messa festiva. L’Arciprete di allora Don Aldo Martinati (1914-29) appoggiò l’idea e si formò nel 1919 un comitato di capifamiglia per contrada per avviare i lavori della Chiesa. Nel novembre del 1921 si fecero le fondamenta della Chiesa (attuale navata) e il 7 novembre 1921 in occasione della Visita Pastorale il Vescovo Luigi Pellizzo si portò a visitare i lavori, rivolgendo ai presenti parole di encomio e di incoraggiamento. Intanto un un’aula delle scuole veniva celebrata ogni domenica una Messa da uno dei Sacerdoti di Selvazzano. Dopo una breve sosta per mancanza di fondi, si ripartì e il 10 Maggio 1925, Mons. Primo Carmignoto, Vicario generale della Diocesi e paesano di Selvazzano, che fino alla morte fu valido protettore di Caselle, impartì la benedizione alla Chiesa (= attuale navata centrale), dedicandola alla Madonna Ausiliatrice e celebrandovi la prima Messa. Ma la Chiesa era povera disadorna, priva di intonaci e quando faceva vento per le fessure dei muri l’aria spegneva le candele dell’altare. Però da allora ogni domenica fino al 1928 veniva da Thiene in bicicletta, dove era insegnante nel Seminario Vescovile, il paesano Don Vittorio De Zanche. Con cambiali e prestiti si costruì accanto alla Chiesa la canonica. Nel 1928 il Vescovo Mons. Elia Dalla Costa mandò il primo Curato, Don Giovanni Gastaldon, che vi rimase fino al 1930. Il 26 luglio 1930 arrivò da Monselice il nuovo Curato Don Riccardo De Mori, che rimase a Caselle fino al 1940 come curato e poi fino al 1963 come Parroco: 33 anni! e quali anni! Col nuovo curato furono costruiti fra il 1931 e 1938 il presbiterio, il coro, la sacristia e aprendo con inaudito coraggio i muri della navata centrale, con archi e colonne, anche le due navate laterali e le cappelle. Nel 1941 furono affrescate l’abside e le cappelle laterali dai fratelli Galliano e Armando Miglioraro di Montegrotto su commissione e spesa di Mons. Vittorio De Zanche e per la sua elezione a Vescovo di Montefeltro (1941) come omaggio degli stessi pittori fu affrescato il Battistero (ora cappella dell’Immacolata). La Chiesa fu arricchita della statua della Madonna, opera dello scultore Cadorin di Venezia e donata dallo stesso Mons. De Zanche; mentre i fratelli Antonio, Pietro e Giuseppe De Zanche donarono le statue del S.Cuore e Don Bosco, opere dello scultore Luigi Strazzabosco. La Chiesa fu solennemente consacrata dallo stesso Vescovo De Zanche il 22 novembre 1958.